La casa delle vacanze delle storie
Slasher bellissimi che a quanto pare esistono, Alice Munro e quel che non ci aspettavamo, Apnea entra nel cuore, Postilla n°12, rassegna stampa, americanata, voi ce l'avete una casa delle vacanze?
(Penultima newsletter prima della pausa estiva!)
Certe estati adolescenti le ho trascorse nella casa al mare di amici di famiglia. Era una seconda casa, piccola, che raggiungevano con due ore di macchina nei weekend di maggio per poi traslocarvi nei mesi estivi. La spiaggia era a due chilometri in bicicletta, e ne avevano una in più anche per me. Di quella casa mi ricordo che era sempre uguale, l’arredo disinvolto e ridotto all’essenziale, in una sorta di immobilità confortante che sapevi avresti ritrovato identica l’anno successivo. Non ci si annoia ad andare in vacanza sempre nello stesso posto? pensavo. Non avevo ancora compreso il fascino della forma, della ripetizione che proprio in quanto tale consente al contenuto di illuminarsi. Chiaramente, non mi ero ancora innamorata dei generi letterari e cinematografici, e nello specifico dell’horror — poi amatissimo.
Ho spesso detto che una delle caratteristiche del genere in senso lato è proprio quella di rappresentare un terreno sicuro per gli amanti delle storie. Conoscere le regole interne, le strutture, le scansioni e gli andamenti di una tipologia di narrazioni consente al lettore (o allo spettatore quando si tratta di visioni) di ritrovarsi in un paesaggio noto, una sorta di casa delle vacanze. Ecco, sebbene il concetto di orrore applicato alle storie sia un contenitore ampio, che sfugge al confine e che si presta a diversità di sviluppo ed esplorazione, le forme e immaginari che questo ha prodotto nella storia del cinema sono spesso viste come estremamente codificate, formulaiche, immobili e uguali a sé stesse.
Lo slasher per esempio è un sottogenere che funziona su regole fisse immediatamente riconoscibili e arcinote. Il killer iconico, mascherato o sfigurato, e apparentemente impossibile da uccidere, il gruppo di vittime giovani, l’ambientazione isolata, la final girl, la ragazza che sopravvive sfuggendo al killer, il tutto condito da tanto sangue, una tensione in crescendo e una colonna sonora inquietante. Tutte queste cose, tranne la colonna sonora, ci sono anche in In a Violent Nature, slasher di Chris Nash uscito da poco negli USA, eppure sin dall’inizio è chiaro che abbiamo di fronte un lavoro nuovo e singolare.
Tutta la storia è raccontata dalla prospettiva del killer. Per tutto il tempo siamo il mostro che vive nel bosco, siamo nei suoi passi pesanti, nel suo respiro rumoroso, circondati dalle mosche che lo seguono, che ci seguono. Niente musica, niente jumpscare, niente colpi di scena. Soprattutto, una fotografia artistica, inquadrature eleganti, niente lasciato al caso nei colori dell’ambientazione, il bosco violento, stupefacente e rigoglioso, la natura minacciosa fatta di alberi maestosi, laghi cristallini e carcasse di animali putrescenti. Niente di sciatto, neanche la violenza delle uccisioni, estremamente splatter ma mai pasticciona, sembra lasciata al caso.
“È ironico quanto la lotta ai cliché sia diventata essa stessa un cliché. In maniera troppo semplicistica ormai giudichiamo l’uso di immagini, situazioni o meccanismi un po’ triti come principali colpevoli della mancanza di autenticità nella narrativa.” Così scriveva Luca Mercadante qualche settimana fa, quando sottolineava che più che l’originalità nelle storie dovremmo cercare l’origine, la verità unica di chi racconta quelle storie, e in effetti la bravura di Chris Nash sta proprio nel non forzare il film fuori dalla sua forma, ma lavorare di fino da dentro, esplorare un genere di cui conosce alla perfezione gli andamenti e gli accordi interni, senza forzarne la riscrittura, e proprio per questo riuscire in un’operazione di sovversione raffinatissima: osare mettersi dall’altra parte, cambiare sedia e provare a pensare per il più codificato dei filoni una possibilità artistica.
Non ci sono ambiguità nel film, sappiamo dall’inizio come andrà a finire, possiamo anche tirare a indovinare l’ordine dei morti (e ci si azzecca) e la final girl è chiara dal primo momento in cui compare il gruppo di ragazzi. Non c’è parodia (anche quella oramai sarebbe solo celebrazione del lavoro che hanno già fatto Wes Craven e Kevin Williamson con il franchiste Scream) ma c’è un profondo, chiaro amore per lo slasher che si vede, si respira, si percepisce fino al lungo e angosciante finale.
La casa delle vacanze di Chris Nash è un posto isolato nel bosco, sempre lo stesso posto isolato nel bosco, frequentato sempre dalle stesse persone, tutte le estati. Eppure sembra nuovissimo, nessuno l’aveva mai visto illuminato così.
Chiara M. Coscia
Colonna sonora
Questo pezzo di un gruppo che ha l’horror come elemento fondante della propria produzione musicale.
Notiziona della settimana
In un lungo articolo pubblicato il 7 luglio sul Toronto Star, e diventato virale nei giorni successivi, Andrea Robin Skinner, figlia della scrittrice canadese premio Nobel Alice Munro, ha dichiarato che quando era ancora una bambina il patrigno Gerald Fremlin abusò sessualmente di lei, e che la madre, saputi molti anni dopo gli accadimenti, non fece nulla e anzi rimase con lui fino alla morte.
Noi, che come dichiarato siamo grandi lettrici di Alice Munro e ne amiamo l’opera, non crediamo di avere nessuna cosa intelligente e utile da dire al riguardo. Stiamo anzi ancora cercando di capire come ci sentiamo rispetto a questa notizia. Di certo in bilico tra la volontà di leggere ancora i racconti di Munro come i capolavori che sono e la consapevolezza che opera e artista sono due cose diverse, sì, ma non separate, anzi, indissolubilmente intrecciate*. Questo non vuol dire che si possano giudicare con gli stessi parametri: un libro è un libro, una persona è una persona. Un libro siamo noi e quel che ne ricaviamo (nel caso di Munro: molta bellezza), una persona è solo sé stessa.
Siamo persone anche noi che leggiamo. E al momento, dalla nostra semplice prospettiva di persone-lettrici, ci pare di poter dire che continueremo a ritenere capolavori i racconti di Alice Munro, e ci interrogheremo sulla persona Alice Munro prima di sentirci libere di biasimarla o comprenderne le oscurità e fragilità o detestarla. Nel mezzo, anzi prima di tutto, abbracceremo forte Andrea Robin Skinner.
*Provate a leggere ora Dimensioni, in Troppa felicità, racconto che leggiamo ogni anno in Apnea tentandone una chiave di lettura che oggi ci sembra ancora più incandescente, ci sembra di non riuscire a trattenerla tra le mani per quanto scotta.
Una panoramica di articoli e note a proposito di questa brutta vicenda:
Alice Munro, Nemica amica amante di Anna Mallamo su Huffington Post.
Lo scrittore Jonathan Bazzi sul suo profilo facebook.
Alice Munro, il marito maniaco e i danni della semicultura sulle menti deboli di Guia Soncini su Linkiesta.
Alice Munro, tutto su mia madre di Davide Piacenza nella sua newsletter Culture Wars.
La scrittrice e critica Daniela Brogi sul suo profilo facebook.
La scrittrice Rosella Postorino sul suo profilo facebook.
La scrittrice e psicanalista Costanza Jesurum sul suo profilo facebook.
Non pretendiamo da Alice Munro la verità. La letteratura ci fa danzare tra le ombre di Loredana Lipperini sulla stampa (a pagamento, o si può ascoltare qui a Pagina 3)
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Postilla n°12
Cara Yolima,
è un po’ inquietante come questo testo si sposi con l’argomento di cui abbiamo appena discusso più su. Nell’infinita ampiezza e diversità delle storie, siamo di fronte a bambini non visti, abusati, lasciati soli. Un materiale molto difficile da trattare, da un punto di vista puramente narrativo. Quel che tu mi mandi non è ancora una scrittura, in questo senso. Assomiglia più a un appunto, a una cronaca. Un fatto è avvenuto, ci sei entrata in contatto, ti ha (giustamente) colpita. Hai voluto metterlo su carta. Fin qui siamo nel campo della vita reale. Anche la trasposizione su carta, finché resta di questa sostanza, non è che vita reale. E la vita reale, per quanto splendida o terribile, avventurosa o sorprendente, non ha niente a che fare con la pagina: non è racconto. Perché questo testo diventi racconto occorre che tu ne prenda le distanze o almeno riesca a vederlo come materia manipolabile. Non bisogna per forza farne fiction ma per forza bisogna trovare una struttura, una forma, uno sguardo, una lingua che lo modelli e lo reinterpreti. Non più Paolo e sua madre (cronaca) ma ciò che rappresentano, ciò che ne fa metafora. E ciò che ne fa metafora puoi scovarlo solo dentro di te, facendo allo stesso tempo un passo indietro dal fatto che scotta, e uno in profondità per andare a guardarlo senza paura e mettendoti in gioco, smettendo le vesti della testimone.
Ciao, buona scrittura 😊
Francesca de Lena
La settimana editoriale*
È stata annunciata la cinquina del Premio Strega Poesia.
E la “shortlist” del Premio Vero.
Loredana Lipperini in risposta all’intervista della settimana scorsa a Walter Siti.
Analisi di Costanza Jesurum, sempre a partire da Siti.
Lettere dal braccio della morte, nell’audiodocumentario Cara Bianca, che racconta la corrispondenza della giornalista Bianca Cerri con detenuti condannati a morte.
Un’analisi di Cristina Resa a partire da due film recenti sulla figura della suora nel cinema horror contemporaneo, su Singolare, femminile.
Studio su autori e autrici che hanno scritto dal letto o in posizione stesa: La vita orizzontale di Sara De Simone, su Il Tascabile.
Una ricerca storica sull’uso del “vabbè”. Ivan Carozzi su IlPost.
I draghi più iconici dei fumetti.
Sempre a proposito di fumetti, intervista a Fabrice Neaud, autore di Diario, capolavoro del fumetto autobiografico.
Dieci libri d'arte per l'estate 2024, selezionati da Artribune.
I 100 migliori libri del XXI secolo, cioè dal 2000 a oggi, secondo il New York Times (a pagamento).
*questa newsletter è stata programmata giovedì, se venerdì sono arrivati gli alieni a invadere l’editoria sappiate che non potevamo saperlo perché eravamo già lontanissime!
L’americanata di Chiara
“Scrivere una recensione è un compito difficile: significa descrivere un oggetto invisibile, ricrearlo per qualcuno che non l'ha mai visto. Chi è il lettore di una recensione? È qualcuno che viene a conoscenza di un'opera per la prima volta, un'opera di cui spesso nessuno sa molto. Il recensore deve sapere qualcosa sui lettori: sono esperti del settore, appassionati? […] Cosa posso supporre su di loro? Cosa devono sapere per leggere la mia recensione?”
Da Harvard Review, “Helen Vendler on Book Reviewing”, di Helen Vendler, trad. Chiara M. Coscia
https://www.harvardreview.org/content/on-book-reviewing/
Appuntamenti
Oggi comincia il Festival La Versiliana a Marina di Pietrasanta, Lucca.
Dal 13 luglio a settembre a Cortina D’Ampezzo c’è la 30ª Edizione di Una Montagna di Libri.
Domenica 21 luglio, a Pontremoli, l’appuntamento con la finale del Premio Bancarella.
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Ci vediamo sabato 20 luglio per la nostra ultima newsletter prima della pausa estiva!
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