Nell'editing c'è un mondo intero
Gordon Lish non aveva tutti i torti, il dovere di distinguere la fiction dalla realtà, bibliotecomanie e americanate, rassegna stampa. Ma gli editor, lo sapete chi sono?
Avrete di certo sentito parlare di Gordon Lish. Il cattivone che costringeva Raymond Carver a scrivere i racconti con quella forma di minimalismo che lo ha reso famoso. Se non ne avete sentito parlare sappiate che Carver scriveva bellissimi racconti in ogni caso: sia nella forma più densa sia in quella passata sotto la scure di Lish – a dimostrazione di come l’editing non snaturi un bel niente, semmai architetti una casa per una sostanza e un talento che già ci sono. Ma questa è un’altra storia, utile però per dire che l’unica coppia scrittore-editor di cui abbiate mai sentito parlare aveva il carattere imponente di Lish.
La maggior parte degli editor non è così, è anzi l’opposto. L’editor lavora nel dietro le quinte per definizione, perché tutto ciò di cui si occupa sta nelle cartelle del pc, nelle revisioni di word, nel carteggio di mail, nelle emoij di whatsapp, nelle telefonate e nei vocali, nelle illuminazioni notturne e nel costante lavoro di bussola verso una destinazione che ancora non si vede all'orizzonte.
Per quel che mi riguarda, il lavoro di editing non si limita neanche a un testo già concluso e acquisito per la pubblicazione. Io e altri come me facciamo prima di tutto scouting, quindi cerchiamo, valutiamo, scegliamo uno scrittore alle volte prima ancora che si sia scelto da sé, che si sia accorto di essere uno scrittore, che abbia effettivamente scritto una storia. Per spiegare il mio mestiere dico spesso che “trovo le storie quando ancora non ci sono” ed è proprio quello che faccio, e adoro farlo, ma ciò che questo lavoro vuol dire nel concreto, poi, lo dico abbastanza?
Lo dico che se una bozza di romanzo comincia nell’infanzia di un personaggio e passa per l’adolescenza e arriva alla maturità in maniera piatta e prevedibile quella bozza non ha nessuna possibilità di catturare lettori e quindi il lavoro di selezione degli eventi prima e di costruzione dei piani temporali che si intersechino poi, e di più temi portanti e di una voce coerente senza cadute è molto più che fare pat-pat sulla spalla? Che fare da guida non vuol dire solo urlare a gran voce "Forza, credo in te!" ma letteralmente inventare una storia che prima non c'era e quindi co-crearne le scene, le svolte, i capitoli, le aperture e le chiusure?
Lo dico che se una bozza di romanzo avvincente e ben congegnata non ha però una scrittura precisa e anzi lancia sulla pagina scene o dialoghi senza grazia essere editor non è fornire un paio di consigli furbi sui cliffhanger e i colpi di scena, ma giocare con la sintassi riga per riga, seguire la musicalità, sostituire termini, verbi, frasi, battute di dialogo, punteggiature? Lo dico che se una cosa è scritta quasi allo stesso modo ma prima non funzionava e adesso sì, be' è perché in quel quasi c'è un mondo intero di abilità, tempo e competenza?
Non lo dico, non lo diciamo, perché dirlo fa cafone. Perché può sembrare vogliamo passare davanti alle quinte, e non vogliamo, può sembrare vogliamo prenderci meriti artistici che non sono nostri, e non vogliamo, può sembrare che siamo guidati da recriminazioni, invidie, protagonismi, e parrebbe brutto.
Fino a qualche anno fa c'era un'altra categoria di professionisti dietro le quinte che non dicevano abbastanza il loro lavoro, che non alzavano la mano quando si parlava in termini entusiastici di un risultato ottenuto anche grazie a loro: i traduttori. Nessuno si ricordava di citare i traduttori in una recensione o in uno stralcio dal libro, nessuno pensava il loro nome si dovesse mettere in copertina. Ora, lentamente, le cose stanno cambiando. E stanno cambiando solo perché i traduttori hanno cominciato a sbracciarsi, a dire Ehi! Siamo qui! Non fate finta di non vederci! e, di conseguenza, chi parlava dei libri è stato costretto a parlare di loro. Per primi gli autori di quei libri.
Con le dovute differenze (i traduttori riscrivono interi libri da capo) ma senza neanche troppo timore di assegnarsi uno spazio giusto (alcuni editor i libri se li inventano da capo), forse anche gli editor, perlomeno quelli che seguono un progetto dalla nascita, ma secondo me anche gli altri, dovrebbero cominciare a sbracciarsi, a dire ehi siamo qui! o nessuno lo farà al posto loro. Nessuno lo farà al posto nostro.
Uno scrittore che pubblica in un mercato di mille pubblicazioni al secondo, uno scrittore che ottiene un pezzo, una presentazione, un'intervista, una considerazione in un dibattito culturale che pesa un millesimo rispetto a quello che il mercato sforna, parlerà del libro, di storia e personaggi, di scrittura come atto intimo e profondissimo o al massimo della copertina (senza nominare il grafico o l'illustratore), ma non parlerà di noi, non parlerà di nessun altro lavoratore editoriale che pure ha lavorato a quel libro. Non ne avrà la possibilità, il tempo, la voglia.
E a loro volta i lettori non avranno voglia di ascoltare questa verità sul processo editoriale perché anch’essi vengono cullati da sempre nell’idea romantica del gesto artistico solitario e furibondo, doloroso e audace e questa immagine così affascinante striderebbe con la costruzione razionale di un progetto, di un’idea, di un’opera che ha beneficiato di diversi influssi. Quando il libro è una creazione collettiva vale di meno? Dire che al film hanno lavorato il montatore e la scenografa e la direttrice del casting eccetera toglie prestigio al regista?
Nell’opinione corrente forse sì, ed ecco che il nostro scrittore ci confesserà in privato quanto siamo stati fondamentali per la sua opera e addirittura per sé stesso, e noi ne saremo felici. Ma basterà per sentirci riconosciuti? Soprattutto: basterà perché il lavoro svolto ci faccia acquisire valore per il lavoro che verrà? Se il nostro lavoro non acquisisce valore perché non se ne può parlare e occorre che restiamo composti e appartati, come fa a crescere? Quand’è che il lavoro culturale potrà essere trattato con dignità e non come un nobile passatempo, tanto più nobile quanto più svolto senza la pretesa di riceverne congrua retribuzione, approvazione o, chessò, almeno un banale passaparola?
Say my name, say my name! racconta di aver urlato J.R. Moehringer verso la tv, quando facendo zapping in un bed & breakfast del New England s’imbatté in una seguitissima trasmissione tv il cui elogiato ospite era Andre Agassi, l'uomo di cui aveva scritto la biografia più famosa al mondo, Open. Se solo lo avesse fatto, dice Moehringer, le vendite del mio romanzo Il bar delle grandi speranze sarebbero lievitate.
Ma, indovinate un po'? Agassi non lo ha fatto e Moehringer non aveva il carattere imponente di quel cafone di Gordon Lish.
Francesca
Colonna sonora
Se vi va leggete la newsletter ascoltando questa canzone famosissima dei R.E.M., perché è l’inno di tutti quelli che a un certo punto della loro vita soffrono, e questa è una newsletter un po’ più sofferta del solito.
Bibliotecomanie di Beatrice
“Quand’ero piccola, pensavo a come ammazzare mio papà. Mi immaginavo un modo, poi un altro, e ci rimuginavo sopra, finché non mi sembrava facile. Il mio preferito era quello di infilargli un ragno velenoso nel letto. Questo lo mordeva, e lui moriva, tutto gonfio, e a me venivano i brividi a trovarlo così.”
Un incipit che ci va piano, quello di Ellen Foster, di Kaye Gibbons - Feltrinelli, 1995, traduzione di Edmonda Bruscella
La notiziona della settimana
Adania Shibli, scrittrice palestinese, avrebbe dovuto ricevere un premio durante la Buchmesse, la prestigiosa Fiera del Libro di Francoforte. Tuttavia, alla luce della nuova straziante situazione in Israele e nella striscia di Gaza, l’organizzazione ha deciso di posticipare la cerimonia a lei dedicata, suscitando molte polemiche.
Per quanto ci riguarda, quando si capirà la necessità di distinguere la fiction dalla realtà, la letteratura dalla politica e dalla guerra e si accetterà l’idea che l’arte non è e non deve essere per forza buona né stare dalla parte giusta né evitare di suscitare scalpore, sarà sempre troppo tardi. E questo è un principio che pensiamo debba valere sempre e per tutti.
Altri casi simili nella storia delle premiazioni
Nel 1867, Marie Curie vince il suo secondo Nobel e da Stoccolma le chiedono di non presentarsi a ritirarlo a causa di una campagna scatenata contro di lei dalla stampa misogina e antisemita.
Nel 1973, Marlon Brando rifiuta l’Oscar come miglior attore, mandando sul palco una giovane Apache a parlare delle condizioni dei nativi americani.
Nel marzo del 2022, il Festival di Cannes bandisce la delegazione Russa in segno di solidarietà all’Ucraina.
Succede a Ilda
Sappiamo che della lezione aperta avete tanto apprezzato l’idea di protagonista drammatico e per nulla eroe in cui crede il coach Luca Mercadante.
Se siete curiosi e impazienti di costruire personaggi vivi e imperfetti e anzi anche un po’ stronzi come quelli del mondo lì fuori, le iscrizioni a Ipotesi di romanzo sono aperte. Scriveteci a ilibrideglialtri@gmail.com vi aspettiamo!
E se avete già provato a scrivere qualcosa, magari di nascosto o solo nei ritagli di tempo, e volete capire cosa pensare della vostra scrittura: inviate il vostro testo a Postilla, la posta del cuore per autori inediti. Quello che vi serve è farvi leggere da un occhio estraneo, esperto, franco. E gratuito.
Le istruzioni per partecipare sono qui.
La settimana editoriale
La settimana scorsa è morta Louise Gluck, la poeta americana premio Nobel 2020. Non avevamo fatto in tempo a dirvelo, ma volevamo salutarla comunque.
Su Internazionale si racconta della paladina delle crociate contro i libri, anche detta la paladina di cui non avevamo bisogno.
È nata Palomar, rivista online di filosofia che omaggia Italo Calvino.
È uscita la nuova Classifica di Qualità de L'Indiscreto e nella top ten di narrativa c'è Sangue Cattivo della nostra Beatrice Galluzzi ❤️ (Beatrice è stata anche a fahrenheit per il libro del giorno!).
Su Esquire Valentina Pigmei mette insieme libri sulla meraviglia.
A cent’anni dalla sua nascita, breve storia di uno dei colossi dell’immaginario mondiale: Disney.
I riferimenti alle opere di Poe nella nuova miniserie di Mike Flanagan La caduta della casa degli Usher, Netflix. (All’epoca facemmo una cosa simile con i racconti di James e The Hunting of Bly Manor).
L’Intelligenza Artificiale continua a destare polemiche. Francesco D’Isa, autore di Sunyata, fumetto realizzato con il supporto dell’AI, risponde alle critiche ricevute. Su Fumettologica.
L’americanata di Chiara
“Penso che in un certo senso il mio approccio alla costruzione di una raccolta di racconti sia rimasto lo stesso nel tempo: il progetto è una tela, un libro: vedo una traiettoria dalla prima storia fino all'ultima; voglio costruire un mondo e voglio, spero, che il lettore provi un senso di gigantesco accumulo. A cambiare nel corso degli anni è stato il mio tentativo di aggiungere quanti più strati possibile su quella tela, che si tratti di situazioni, storia o personaggi.
Oggi sono meno interessato a scrivere da un punto A a un punto B [...], più a come scrivere verticalmente; a creare profondità di livelli. Ed è qualcosa a cui penso non solo per un intero libro di racconti, ma per ogni storia contenuta in quel libro.”
Da Lit Hub, “Writing as transformation: Who Paul Yoon Needed to Become to Finish his Book”, trad. Chiara M. Coscia
https://lithub.com/writing-as-transformation-who-paul-yoon-needed-to-become-to-finish-his-book/
Appuntamenti
A Gallipoli, dal 24 al 30 ottobre, c’è la Settimana della cultura del mare.
Dal 26 ottobre al 5 novembre, a Udine, il festival Mimesis.
Sempre dal 26 ottobre al 5 novembre, a Genova, il Festival della Scienza.
A Perugia, dal 27 al 29 ottobre, Umbrialibri.
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Cafoni, i fantasmi delle newsletter passate.
Ci vediamo sabato 28 ottobre.
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