Storie che non vogliono uscire
Le storie mi hanno salvato la vita: sento spesso questa frase pronunciata dalle persone che scrivono e leggono. Autori e autrici che hanno trovato nella scrittura la propria forma di resistenza (o di sopravvivenza), lettrici e lettori che nei libri hanno scovato un rifugio, al riparo da una realtà insopportabile. E anche io mi sento così: da sempre mi sono rintanata nelle storie, quelle che inventavo io, quelle che la biblioteca e il cinema mi offrivano. Fino a che non sono arrivate le parole, ottimo nascondiglio per stare sì vicina alle storie, ma a una distanza di sicurezza.
Durante i suoi laboratori di scrittura, Luca Mercadante ricorda spesso la differenza fra chi scrive “per mestiere”, dai giornalisti ai copywriter, e chi fa narrativa. Tra l’atto che manipola e distorce le parole affinché si pieghino al volere di chi compone i testi, e la ricerca della verità che è l’oggetto della narrativa. Tendiamo a confondere molto questi aspetti o, perlomeno, io li ho spesso confusi tra loro, e per tanti anni. È capitato spesso che un buon eloquio mi sia sembrato sinonimo di una buona narrazione, o che dei giochini linguistici assestati con sapienza mi abbiano fatto pensare che stessi leggendo/guardando un’ottima storia. Per scoprire che il talento narrativo è altra cosa rispetto a quello linguistico (più facile da allenare e affinare) mi ci sono voluti un po’ di anni, qualche grosso granchio preso in saccoccia e l’incontro con il manuale Story di Mckee. Ma nel frattempo mi ero fregata da sola: avevo scoperto che le parole mi piacevano, e questo mi ha fatto credere a più riprese che io stessi raccontando delle storie con il mio scrivere, con il mio crogiolarmi nella sintassi e tra i vocaboli. Non era vero: io le storie le ho sempre inventate, ma sono rimaste spesso indomate e indomabili, soffocate dalle paroline ben ammaestrate, la mia zona di comfort.
Mi capita spesso per lavoro di scrivere fino a esserne nauseata, fino a non capire più il senso di questi muri di testo. Cerco idee e concept, cerco spunti e costruisco storytelling da lanciare in pasto ai pubblici più disparati. E scrivo, scrivo più di quanto non ragioni: fogli e schermi pieni di parole in forma, stiracchiate, fasulle, divertenti, gigione. Ma le storie che ho davvero raccontato credo si contino sulle dita di una mano. Ce n’è una mai nata, per esempio, che continua a disturbarmi con la sua impertinenza: se ne sta lì a prendermi in giro, a sfidare la mia audacia e il mio pudore. E ogni volta che credo sia arrivato il momento di darle spazio al di fuori di me, quella si ritrae. Io provo a vestirla di belle parole, ma è tutto vano: non vuole uscire.
Le parole sono il mio paravento, mi ci nascondo dietro per sottrarmi a ciò che è davvero forte: i conflitti brucianti, la progressione impietosa degli eventi.
E se l’atto di scrivere, inteso come il maneggiare le parole, riesce a diventarmi odioso fino a sembrarmi più robotico che umano, non riesco a odiare mai l’idea della creazione di una storia.
E chissà che un giorno io non riesca a trovare il modo di volgere lo sguardo dentro, ripescare nel profondo quella storia fastidiosa, sputarla finalmente fuori, piazzarla sotto i riflettori e non abbandonarla più.
Primavera Contu
La settimana editoriale
Il tema della prossima edizione del Salone del libro di Torino sarà "Attraverso lo specchio".
Per l'edizione successiva alla prossima, invece, ci ritroveremo senza un direttore, se va avanti così. Si chiamano fuori gli scrittori Gianluigi Ricuperati e Paolo Giordano.
Su Doppiozero, Antonio Tricomi parla di Pasolini: “Dovremmo approcciarlo ricordandoci di come egli ormai giudicasse la letteratura un discorso socialmente estinto e la civiltà tutta a un passo dal baratro.”
Perché è tornato l’interesse editoriale per Amalia Guglielminetti, “l’istrice di velluto”. Ne parla Valter Boggione sul nuovo numero de L’indice dei libri del mese.
Quest’anno ricorre il centenario della nascita di George Simenon, ma 120 anni fa nasceva Totò.
La casa editrice Il Castoro, invece, compie 30 anni.
"Una presenza pur sempre occasionale in testi scritti, in massima parte mediati da computer, tablet e smartphone, circolanti quasi solo tra compagni di bolla, non significa tuttavia che realmente lo schwa stia entrando – e possa entrare – nella lingua italiana. Intendo dire di quella che Alessandro Manzoni chiamava la «lingua davvero», ovvero la lingua di tutti e per tutti gli usi: quindi non solo scritta – né, aggiungiamo a questo punto, solo digitata – ma, prima di tutto, parlata." scrive Giovanni Battista Boccardo in Lo schwa e la posta aerea transcontinentale su Treccani Magazine.
Nei film si iniziano a vedere baci che non sono veri, ma solo frutto di effetti speciali.
Ecco il trailer del nuovo horror tratto dal racconto di Stephen King: Children of the Corn.
Chi era il terzo fratello Grimm e perché le sue opere non furono unite a quelle dei due fratelli?
Qui trovate 11 libri di architettura da leggere nel 2023.
Ma chiudiamo in bellezza con le poesie erotiche del Sesto Dalai Lama, detto “il folle”.
Appuntamenti
Fino al 6 aprile è visitabile, a Milano, la mostra dedicata a Italo Calvino in occasione dei 100 anni dalla sua nascita.
Dal 24 al 26 febbraio, a Firenze, c’è Testo.
Centenari, i fantasmi delle newsletter passate.
Ci vediamo sabato 24 febbraio.
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