Spogliare la scrittura
Ultimamente mi è capitato di leggere alcuni elaborati di studenti delle scuole medie. Il tema era quello dell’anniversario della liberazione. Si trattava di disegni, poesie e testi brevi. L’argomento ha indubbiamente un’importante rilevanza - e deve averla - per adolescenti che convivono con lo spettro della guerra sulla soglia. Ma si possono davvero giudicare le capacità scrittorie di ragazzi tredicenni, quando si devono muovere all’interno dei confini di un tema così serio e istituzionale?
Uno dei grandi rimpianti della mia maturità fu il tema su Garibaldi. Sperai fino all’ultimo che non uscisse proprio quello. E invece. Ne venne fuori un elaborato stitico, appena passabile e mi costò una fatica feroce. A volte immagino di incontrare la mia professoressa di italiano per dirle che ora lavoro con le parole, quelle che, davanti al foglio protocollo, non mi venivano fuori nemmeno a cavarmele. Sto per fare una dichiarazione da boomer: i tempi sono cambiati.
In meglio, però.
Nelle scuole, ora, la creatività è più incoraggiata, e non ci si fossilizza sui diari delle vacanze di Natale e su Garibaldi. Nelle biblioteche scolastiche dove lavoro si fanno laboratori di scrittura creativa - uno, proprio l’anno scorso, incentrato su Shirley Jackson e i suoi fantasmi. Non mi piace sentire chi si lamenta dei giovani, del fatto che siano una generazione di analfabeti, che non sappiano parlare, non siano in grado di scrivere. Sono lamentele vuote e cicliche, di vecchie generazioni che additano le nuove. Tullio De Mauro, nel suo saggio Guida all’uso delle parole - Parlare semplice e preciso per capire e farsi capire dice che “Ogni volta che usiamo le parole, anche se non ne siamo consapevoli, siamo, per così dire, costretti a fare delle scelte, costretti a essere liberi.” Chi scrive sa quanto sia importante potersi muovere liberamente all’interno della propria storia e quanto sia invece limitante dover rispettare delle regole che non siano le proprie, calzare la taglia troppo stretta di un argomento preciso e inflessibile. Nello stesso testo, De Mauro racconta un aneddoto su uno scrittore che si trovò a fare per un anno il professore italiano, e pur di non assegnare temi di commento a illustri defunti, chiese agli alunni di descrivere la cena del giorno prima, mettendoli inizialmente in difficoltà. Tuttavia, interrogando i ragazzi uno per uno, “Un po’ alla volta, la solita, anonima cena in cui niente di speciale era successo si animava di un intrico di storie, di umori.” Quei ragazzi, per raccontare, avevano bisogno di potersi muovere, di stare comodi, sentire la scrittura della propria taglia. “Metti le mani in tasca, potresti trovarci una storia.” dice Luisa Mattia nell’introduzione di Scrivere, io? Manuale di scrittura per ragazzi, dove ho trovato idee ed esercizi molto divertenti e utili - anche per adulti, a dire il vero. Nella parte finale c’è il capitolo “Scrivere è mania”, dove si susseguono disegni di scrittrici e scrittori con relative vignette : “Isabelle Allende comincia sempre i suoi romanzi l’8 gennaio”; “Mark Twain, quando scriveva, si vestiva di tutto punto, come se dovesse uscire,”; “John Cheever scriveva rigorosamente in mutande.”
Mettere a nudo - nel caso di Cheever letteralmente - le ossessioni e le strane abitudini di chi scrive può in qualche modo sdoganare anche la scrittura, renderla invitante (anche quella di verifica scolastica), spogliandola di solennità. Far passare ai più giovani l’idea che scrivendo non si devono soltanto produrre contenuti sui quali essere giudicati, perché, citando sempre de Mauro, “Parlare non è necessario. Scrivere ancora meno.”
Beatrice Galluzzi
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